Il vescovo Antonio Bianchin nei ricordi di un villorbese

Qualche settimana fa ho sollecitato Luigi Giovannini a mettere su carta il ricordo che ha di Antonio Bianchin, un villorbese divenuto vescovo negli anni Ottanta. Sono ricordi che Giovannini vuole condividere con i lettori di questo blog.
A Villorba, paese natale del vescovo Antonio Bianchin, tutti conoscevano lui e la sua famiglia. Personalmente conservo solo pochi ricordi non solamente perché diversi di loro sono deceduti da parecchio tempo, ma anche i rimasti non li vedo oramai più da tanto, eccezione fatta del maggiore dei fratelli che abita ad una cinquantina di metri dalla mia abitazione. E’ l’unico dei signori Bianchin che vedo, ed anche in poche occasioni […].

Del vescovo Antonio ho ricordi legati soprattutto all’infanzia anche perché sono stato per qualche tempo un allievo del suo doposcuola. La sua famiglia, che all’epoca si componeva di tre fratelli e due sorelle più gli anziani genitori, abitava in una casa operaia di non recente costruzione dislocata ai bordi di via Centa, in località Colmello, a poca distanza dal torrente Giavera che per breve tratto divide il paese di Villorba da quello di Povegliano Santandrà. I suoi genitori li ricordo come persone anziane, taciturne e schive, ma sempre cordiali. Degli altri fratelli ho ricordi solo del maggiore. All’epoca prestava servizio alla cartiera Marsoni ed era adibito come forza lavoro ai pagliai. Erano, quest’ultimi, degli enormi depositi a cielo aperto composti da blocchi di paglia ben accatastati in costruzioni di forma rettangolare che raggiungevano notevoli dimensioni così da essere ben visibili, nella loro mole, anche da casa mia che distava più di un km in linea d’aria. Fare il facchino ai pagliai era, sicuramente, un lavoro pesante e per qualche verso pure pericoloso considerando la loro altezza, il caldo afoso estivo e l’ambiente polveroso.

(Luigi Giovannini, a sx, durante un incontro culturale a Villorba insieme a don Lino Cusinato e a Giovanni Borsato)

Di mons. Bianchin, all’epoca ancora Antonio, ci sono certi particolari che ricordo più di altri. Ancora oggi, pensando a lui, mi viene in mente la sua affabilità e disponibilità al dialogo. Con noi ragazzini, che andavamo al doposcuola, a casa sua, ricordo quando ci dava lezione o correggeva i compiti, quel suo continuo snocciolarsi le dita di ciascuna articolazione falangea minori comprese, lo slacciare e chiudere ripetitivo della cinghia dell’orologio mentre una mano scivolava, quasi istintivamente, a riposizionare gli occhiali sul setto nasale. Il suo sguardo che ci fissava da dietro le lenti metteva in risalto due grandi occhi chiari da sognatore ben infossati nel volto magro di forma allungata. Era una personcina che, neanche a volerlo, sarebbe riuscito ad essere severo ed impaziente. Con noi ragazzetti del doposcuola, il suo cavallo vincente era servirsi di una diplomazia rivolta ad ottenere i risultati migliori, spronando il nostro interesse con promozioni che allettavano la nostra competitività nella diligenza, nell’ordine e nelle altre qualità dello scolaro modello.

Un altro ricordo di mons. Antonio è legato al suo ultimo anno di scuola quando frequentava il quinto anno di ragioneria al “Riccati” di Treviso. Al mattino, per raggiungere la fermata del pulmino che ci portava a scuola a Treviso, passava in compagnia del suo amico e compagno di classe Giuseppe (Pinuccio per gli amici) proprio davanti alla mia abitazione e così approfittavo di un passaggio che gentilmente Antonio mi concedeva sulla sua bicicletta. Allora frequentavo il primo anno di scuola media. Di quel periodo di frequenza scolastica ho un’infinità di ricordi e sono tra i più belli che conservo. Mi rintronano ancora adesso, quando ci penso, le fragorose risate che salivano dagli ultimi sedili della mitica “corrieretta di Marsoni”. Era quest’ultima un pulmino assai particolare che ha strappato storie e ricordi dolci ed impagabili a generazioni di studenti. Questo autobus era stato messo a disposizione dalla ditta “Silvio Marsoni” ed adibito al trasporto degli studenti, figli degli operai della cartiera, per il tragitto di A.R. da Visnadello a Treviso. Era una corriera dimessa ed un pochino antiquata, ma decorosa e funzionante con un suo fascino impareggiabile e di stile più vicino ai modelli degli anni Quaranta che di quelli post-bellici. Sulle fiancate portava scritta a caratteri ben evidenti, cromati e tirati a specchio l’insegna della ditta. Sotto i suoi sedili c’era di tutto, fumetti e giornalini di tutti i tipi e per tutti i gusti. Praticamente lo svago ed il passatempo, nell’attesa del ritorno, era assicurato. La distribuzione dei posti a sedere era libera ma, solitamente, i diplomandi si rintanavano negli ultimi posti mentre i rodigini si raccoglievano in quelli più vicini all’autista. Egualmente era distribuita la stampa di lettura-svago. Se all’andata l’amico Antonio era taciturno ed impegnato a scorrere e ripassare le materie della giornata, al ritorno si riscopriva piuttosto ciarliero e coinvolgente in belle e fragorose risate. In quell’ora di tragitto faceva la parte della “prima-donna” e quanto si burlavano tra amici. Erano in quattro o cinque i diplomandi, ma non tutti avevano il suo entusiasmo e la sua allegria. Nel periodo che venivano distribuite le pagelle ricordo che qualche volta canzonavano Antonio per i suoi voti. Era, manco a dirlo, sempre il primo della classe. Quello che faceva discutere delle sue valutazioni nei saggi erano i più ed i meno che si accompagnavano agli otto e nove dei suoi risultati. La sua pagella era il prototipo dello studente modello. In aggiunta alla sua preparazione scolastica era dotato di una personalità ben spiccata che emergeva e si notava anche in quel breve spazio di cordiale convivenza tra ragazzi.

Dopo la sua partenza per il Seminario si ebbe notizia dell’ordinazione sacerdotale che avvenne a Pisa il 29/6/1961. Successivamente trascorsero parecchi anni senza alcun accenno a don Antonio fino al 1987. In una delle ultime domeniche di aprile di quell’anno, l’allora parroco di Villorba, don Francesco Santon, durante l’omelia della Santa Messa rivolgendosi ai fedeli dette l’annuncio della elezione a Vescovo e della successiva consacrazione di mons. Antonio Bianchin. La reazione della comunità parrocchiale fu di sorpresa e di gioia e si ritornò a parlare della persona di don Antonio ancora per qualche tempo. In seguito le sue visite al paese d’origine furono parecchio contenute anche a causa dei tanti impegni che la carica vescovile comportava. Solo in due occasioni ho ricordi di averlo incontrato, e sempre dopo la visita che rendeva al fratello maggiore che ha tutt’ora residenza con la sua famiglia a pochi passi da casa mia. In uno di questi momenti, anche su richiesta di mia mamma che lo aveva visto crescere, aveva accondisceso a sostare giusto il tempo di scambiarci qualche frase di rito. Mi ricordo che avevamo colto uno sguardo triste non so se dettato da preoccupazione per il fratello […] Comunque anche se il dialogo fu succinto, mons. Antonio ci rivelò una grande serenità interiore. Era arrivato colà in bicicletta e portava un abito talare scuro con una vistosa fascia color rosso-porpora ai fianchi. Ricordo che ci salutammo con una stretta di mano ed un abbraccio, ultimo gesto di incoraggiamento ad un amico emotivamente un tantino commosso.

Qualche tempo dopo venimmo a sapere che mons. Antonio Bianchin aveva accusato un primo malore ed una paresi. Dopo soli un anno e pochi mesi, la mattina del 22 gennaio 1991, un ulteriore aggravamento della malattia pose fine al suo cammino terreno. Aveva termine così il percorso della cometa di un pio sacerdote eletto Vescovo titolare di Vannida e nominato Assistente generale dell’Azione cattolica italiana il 14/3/1987. Dopo la sua ordinazione sacerdotale aveva vissuto diverse esperienze, da vice-parroco di Ciglione ad assistente del movimento studenti e a vice-rettore del Seminario. Tra il 1975 ed il 1985 si alternò nei ruoli di Assistente diocesano di A.C. di Pisa, direttore del pensionato universitario “ G. Toniolo” e padre spirituale del Seminario fino alla sua nomina a parroco di S. Giuseppe in Pontedera , ruolo che rivestì fino alla sua elezione a vescovo. Ora la sua salma riposa nella tomba di famiglia al camposanto di Villorba paese. Mi soffermo davanti alla sua tomba, ogni qualvolta faccio una visitina ai miei familiari defunti e mi torna spontaneo, passandogli accanto, fargli un gesto di saluto accompagnato da un silenzioso “ciao Toni”
Come mai a Villorba si “ fatica” a ricordare questo Vescovo?
Mons. Antonio Bianchin e mons. Marcello Zago, due eminenti cittadini di Villorba che hanno raggiunto gli apici della gerarchia ecclesiale, non sono molto ricordati forse perché non si creano opportunità di parlare di loro. Io ho avuto la fortuna di conoscerli entrambi, ma gli anni d’età che ci separavano erano diversi e pochi gli argomenti che potevano unirci nei brevi e fuggevoli incontri, mentre uscivamo di chiesa, al termine della funzione religiosa domenicale. Di mons. Bianchin mi ricordo la sua riservatezza ed un atteggiamento un poco schivo. Era una persona che si esprimeva con un linguaggio semplice, privo di retorica, che andava a colpire in modo immediato il contenuto del dialogo, ma mai in maniera graffiante. Nel discorso non assumeva mai i toni del conferenziere o del professore, ma dell’amico che non si stancava di ascoltarti, non badava alle esteriorità e superficialità mirando direttamente alla sostanza. Era una persona aperta al dialogo col senso dei propri limiti, paziente, ma non cedevole, e sapeva essere generoso anche oltre le proprie possibilità.
Luigi Giovannini, Villorba

Pubblicato da Carlo Silvano

Sono autore di numerose pubblicazioni, alcune dedicate anche alla comunità di Villorba in provincia di Treviso